La misura restrittiva nel cuore verde di Parma: con il daspo urbano si potranno allontanare le persone con precedenti per aumentare la sicurezza. Una scelta che mira a proteggere la reputazione della città, ma che apre il dibattito sul confine tra controllo e libertà
Condividi la tua esperienza
Recensione onesta e rispettosa: aiuti chi sta scegliendo dove vivere.
Grazie! Le recensioni aiutano la community a capire meglio i quartieri.
La notizia che a Parma, a partire dal 22 settembre, la stazione ferroviaria e il Parco Ducale sono state designate come "zone rosse" rappresenta un capitolo significativo e sempre più comune nel libro della gestione della sicurezza urbana in Italia. Annunciata dal Prefetto Antonio Garufi, questa misura non è un semplice aumento della presenza delle forze dell'ordine, ma l'introduzione di uno strumento giuridico specifico e potente: il cosiddetto "daspo urbano". La decisione, che consente di allontanare persone con precedenti penali da queste aree anche in assenza di un reato flagrante, accende i riflettori su un dilemma centrale delle società contemporanee: fino a che punto è possibile limitare le libertà individuali in nome della sicurezza collettiva?
La scelta delle aree non è casuale. Le stazioni ferroviarie e i parchi pubblici sono, in quasi tutte le città italiane, luoghi emblematici di una dualità complessa. Da un lato, sono nodi vitali di transito, socializzazione e svago, punti nevralgici della vita cittadina. Dall'altro, la loro stessa natura di spazi aperti e ad alta frequentazione li rende vulnerabili a fenomeni di degrado, microcriminalità, spaccio di droga e bivacchi. La zona della stazione di Parma e le vie limitrofe del quartiere San Leonardo, così come il Parco Ducale, non fanno eccezione. Queste aree sono spesso al centro delle cronache locali e delle preoccupazioni dei residenti, che lamentano una diminuta percezione di sicurezza, soprattutto nelle ore serali. L'istituzione delle "zone rosse" risponde direttamente a questa domanda di sicurezza, promettendo di "bonificare" e restituire questi spazi alla piena fruibilità dei cittadini. L'obiettivo dichiarato è quello di agire in via preventiva, interrompendo la frequentazione di tali luoghi da parte di soggetti ritenuti socialmente pericolosi, spezzando così potenziali dinamiche criminali prima che si manifestino.
Il cuore operativo di questa strategia è il "daspo urbano", una misura mutuata dalla legislazione pensata per contrastare la violenza negli stadi (D.A.SPO. - Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive). Esteso al contesto urbano con il Decreto Legge n. 14 del 2017 (noto come Decreto Minniti-Orlando), questo strumento si articola in due fasi.
L'Ordine di Allontanamento (Art. 9): Inizialmente, l'organo di polizia può ordinare a una persona che stia mettendo in atto condotte che impediscono l'accessibilità e la fruizione di infrastrutture (come stazioni, porti, aeroporti) di allontanarsi dal luogo per 48 ore. Questo si applica a situazioni come ubriachezza molesta, commercio abusivo o atti contrari alla pubblica decenza.
Il Divieto di Accesso (Art. 10): Se la persona viola l'ordine di allontanamento o se, a prescindere da una violazione, viene considerata pericolosa per la sicurezza pubblica, il Questore può emettere un vero e proprio divieto di accesso a quelle stesse aree per un periodo che può arrivare fino a due anni, a seconda della gravità dei fatti e della pericolosità del soggetto.
La novità introdotta a Parma, in linea con la direttiva del Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi citata nell'articolo, è un'applicazione ancora più estensiva e preventiva. Non si attende più la condotta molesta, ma si agisce sulla base dello "status" della persona: la presenza di precedenti penali diventa il criterio sufficiente per attivare il provvedimento di allontanamento. Inoltre, il disegno di legge menzionato mira a consolidare questa prassi, estendendola a individui semplicemente denunciati o condannati (anche in via non definitiva) per reati contro la persona o il patrimonio.
L'iniziativa di Parma non è un caso isolato, ma si inserisce in una precisa strategia politica nazionale che vede nel rafforzamento dei poteri dei Prefetti e dei Questori la via maestra per la gestione dell'ordine pubblico. Il Ministro Piantedosi ha più volte sollecitato i rappresentanti del Governo sul territorio a individuare le aree più critiche delle città per applicare con rigore misure come il daspo urbano. Città come Milano, Roma, Napoli e Bologna hanno già sperimentato approcci simili, designando "zone rosse" intorno alle stazioni, nei quartieri della movida o in aree a forte degrado. Il Prefetto, in qualità di massima autorità di pubblica sicurezza a livello provinciale, diventa il regista di queste operazioni, coordinando le forze dell'ordine e traducendo le direttive ministeriali in azioni concrete e localizzate.
Se da un lato queste misure godono di un ampio consenso politico locale, come sottolineato dall'articolo, e rispondono a un'esigenza palpabile dei cittadini, dall'altro sollevano complesse questioni giuridiche e sociali.
Le ragioni del "Sì" si fondano principalmente sulla necessità di ripristinare la legalità e il decoro in aree strategiche. I sostenitori vedono nel daspo urbano uno strumento agile ed efficace per contrastare la criminalità predatoria e diffusa, aumentando la sicurezza percepita e agendo come deterrente. L'idea è quella di un intervento mirato, quasi chirurgico, che colpisce i soggetti problematici senza imporre restrizioni generalizzate a tutta la cittadinanza.
Le ragioni del "No" e le criticità sono altrettanto profonde. Giuristi e associazioni per i diritti civili evidenziano diversi rischi. In primo luogo, si contesta la violazione del principio di presunzione di innocenza e della libertà di circolazione (sancita dall'art. 16 della Costituzione). Allontanare una persona che non sta commettendo un reato, ma solo sulla base dei suoi precedenti, assomiglia a una misura punitiva basata su una colpa passata, anziché su un pericolo attuale e concreto. In secondo luogo, emerge il rischio di discriminazione. Tali provvedimenti potrebbero colpire in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili della popolazione: persone senza fissa dimora, migranti, ex detenuti in cerca di reinserimento. Un precedente penale diventa così uno stigma che limita la libertà di movimento. Infine, vi è il cosiddetto "effetto spostamento": il problema non viene risolto, ma semplicemente delocalizzato nelle aree immediatamente adiacenti alla "zona rossa", creando nuove periferie di degrado.
L'istituzione delle "zone rosse" a Parma segna un passo deciso verso un modello di sicurezza proattiva e preventiva. Tuttavia, il successo di questa strategia non potrà essere misurato solo sulla base di una diminuzione delle statistiche criminali in quelle specifiche aree. La vera sfida sarà valutare il suo impatto a lungo termine sul tessuto sociale della città. Riusciranno queste misure a integrarsi con politiche di inclusione sociale, recupero urbano e prevenzione che affrontino le cause profonde del disagio e della criminalità? Oppure si limiteranno a essere una soluzione tampone, che sposta i problemi e acuisce la marginalizzazione, sacrificando sull'altare della sicurezza percepita alcuni principi fondamentali dello stato di diritto? La risposta a queste domande determinerà se le "zone rosse" saranno ricordate come un efficace strumento di governo del territorio o come un controverso simbolo di una società sempre più divisa tra cittadini "garantiti" e individui "sospetti".
Redazione
Autore dell'articolo
Giornalista e scrittore appassionato di politica, tecnologia e società. Racconta storie con chiarezza e attenzione ai dettagli.
Nessun commento ancora.
Sindaco Guerra Michele